PANDEMIA E LOCKDOWN:
COME COLTIVARE LE RELAZIONI IN PERIODI DI CRISI?

Intervista a Natascia Astolfi e Nicoletta Rastelli

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La relazione è il vero fondamento di ogni attività di Fundraising. Ma come coltivarla in situazioni di crisi? Quando si è sentita la notizia del lockdown la paura è stata grande. Non solo per la pandemia, ma anche perché non si sapeva come si sarebbero potute continuare le attività in presenza. Lo sanno bene tutte quelle realtà che si basano sugli eventi e che durante questo anno si sono dovute reinventare completamente.

Ma è possibile reagire e considerare quello che sembra un ostacolo come un’opportunità? In che modo? E come possiamo continuare a coltivare le relazioni con i nostri donatori?


Ce ne parlano Nicoletta e Natascia. Conosciamole meglio e facciamoci svelare qualche piccolo spoiler sulla sua sessione del Festival 2021!

Natascia è impegnata nell'ambito della consulenza del fundraising dal 1998. Esperta nello start up del fundraising per piccole e medie organizzazioni non profit, oltre che nella pianificazione strategica e nel coordinamento di campagne integrate di fundraising nei diversi settori del sociale (socio assistenziale, educazione e formazione, cultura, ecc.). Da anni è docente di corsi di formazione sul fundraising presso enti, scuole e centri servizi per il volontariato in tutta Italia.

Riminese, Nicoletta dopo gli studi classici si è laureata in Storia dell’arte bizantina all’Università di Bologna. Dal 1996 lavora alla Fondazione Meeting, prima come Responsabile delle mostre, poi dei convegni e dal 2001 delle relazioni esterne. Dal 2015 è anche Responsabile dell’ufficio fundraising del Meeting. Ha promosso il lavoro in team, grazie al quale negli anni numerosi collaboratori hanno accresciuto la propria professionalità ed il lavoro di squadra, fino alla realizzazione di una strategia integrata multitarget e multicanale. Sposata, madre di tre figlie, ama fare lunghe camminate.

 

Qui le domande che abbiamo pensato per Natascia: 

In questa situazione che ha messo tutti a dura prova, quanto ha contato per chi fa fundraising l’essere molto più reattivi rispetto al passato?

Non tutti sono riusciti ad essere reattivi. Qualcuno si è bloccato perché probabilmente è stato superato da esigenze che in quel momento apparivano più urgenti. E’ stato reattivo a mio parere quel fundraiser che ha investito tutto sulla relazione. Quel fundraiser che da subito si è reso conto che la relazione non poggiava la sua forza appena nella fisicità ma aveva come origine e nutrimento la condivisione di qualcosa di buono e vero per se e l’altro. Anche per me, come consulente di fundraising, è stato così e questa scoperta mi ha portato lontano, perché mi sono resa conto di poter trasformare le iniziative, le idee, le campagne, i progetti, proprio partendo da ciò che teneva unite le persone. Nel caso specifico della pandemia, ciò che teneva unite le persone era la voglia di dare il proprio piccolo o grande contributo in quel pezzettino di mondo in cui si era coinvolti: chi nella sanità, chi nelle fragilità, chi nelle scuole, chi sostenendo gli anziani del proprio condominio. Donando tempo, denaro, canzoni sui balconi di casa, risate e ogni altra cosa che poteva trasformarsi in “bene” per se e per gli altri. E sono certa che, quando domani torneremo a vivere in una situazione di normalità, questa scoperta mi permetterà di progettare campagna e iniziative di fundraising non focalizzandomi appena sugli strumenti per coinvolgere i donatori, ma andando a ricercare ciò che “nutre” la relazione con essi, ciò che la mantiene viva.

 

Qual è stato il risultato o l'insegnamento totalmente inaspettato che ti ha regalato questo periodo?

Sicuramente la scoperta più grande è stata rendersi conto che per superare una crisi occorre essere semplici e semplicemente chiedere. Ci siamo resi conto che comunicare in modo trasparente, sincero, autentico i propri bisogni, cioè il “mettersi a nudo” è stato visto da tutti come un segno di stima e quindi ha portato le persone a dare ciò che potevano. E’ stata una scoperta così semplice e vera che a distanza di un anno ha impattato sul mio modo di lavorare. Ho messo a fuoco che, nel mio lavoro che è principalmente finalizzato alla pianificazione strategica e quindi a creare “l’impalcatura” che rende solida la raccolta fondi, non posso che partire dalla semplicità di esplicitare un bisogno, di mettere a nudo l’organizzazione nel suo chiedere autenticamente. Questo ha a che fare con il grande tema della comunicazione, non appena intesa come strumenti, ma come capacità di attivare una corresponsabilità. Questo tema ora mi sta appassionando così tanto che ci sto mettendo testa e cuore a comprenderlo sempre meglio.

 

Usiamo la macchina del tempo: come vedi il fundraising nel 2035? Cosa sarà cambiato e cosa continuerà ad esistere?

Ho iniziato a lavorare come consulente di fundraising nel 1999, ventidue anni fa e tante cose da allora sono cambiate. Pensiamo solo all’uso degli strumenti digitali, ai sistemi di pagamento o a come sono cambiati i rapporti con le imprese. Ancora pensiamo a come è cresciuta la cultura interna nelle organizzazioni, che all’inizio degli anni 2000 associavano il fundraising all’elemosina. Ma di base, all’origine cosa c’era comunque anche vent’anni fa? La relazione tra chi aveva bisogno e chi poteva sostenerlo. E tanto più era solida, vera, quella relazione, quanto più l’organizzazione sapeva di poter superare ogni sfida.

Nel 2035 questo non cambierà. Era vero vent’anni fa, è vero oggi, sarà vero tra 15 anni. Perché anche nel 2010 quando abbiamo dovuto affrontare la crisi economica, che pur è stata per il nostro settore una grande sfida, anche allora chi ha saputo affrontarla? Quelle organizzazioni e quei fundraiser che sono ripartiti dalla relazione con i propri volontari, donatori, amici. Chi ha investito nel donor care e nel nutrire le relazioni di esperienze e bisogni autentici.

Evidentemente cambieranno tante cose, ma il cambiamento sarà legato all’evoluzione delle tecnologie, dei comportamenti delle persone, della legislazione di riferimento, ecc. Ma il must del fundraising rimarrà sempre la relazione.

 

E qui, invece, le domande che abbiamo pensato per Nicoletta: 

Quale è stata la sfida a Fondazione Meeting più grande che avete dovuto affrontare nel corso dell’ultimo anno?

Non dare per scontato nulla ma partire da tutto quello che avevamo percorso e costruito negli anni precedenti. Sembra una banalità ma quando ci si trova di fronte ad un ostacolo, ad una difficoltà la prima reazione è il panico e la confusione. Occorre invece fermarsi e guardare il punto a cui si è arrivati, cosa si è costruito fin lì e capire cosa è necessario fare. Prima della pandemia al Meeting l’80% delle donazioni è sempre stato acquisito nel corso della settimana di agosto. A marzo 2020 stavamo progettando la campagna annuale più importante dell’anno – meet the meeting – oltre che il fundraising all’interno della settimana dell’evento. Ci siamo guardati e siamo ripartiti dalla relazione, la relazione con i nostri volontari, i piccoli, medi, grandi donatori, i responsabili territoriali dei nostri eventi, i partner. E’ iniziato un dialogo con tutti loro che ci ha restituito il valore accresciuto, lo scopo di quello che noi per primi costruiamo. Abbiamo sperimentato la vera reciprocità. E’ emerso realmente il senso di corresponsabilità nella costruzione del Meeting.

 

Il doversi “spostare” online per te è stata più una difficoltà o un’opportunità

Un’opportunità certamente innanzitutto a non fossilizzarsi sul ‘già saputo’, sul ‘si è sempre fatto così’. Questo apre al nuovo, a nuove idee, nuovi strumenti. Ha portato ad aprirsi al mondo, l’on line parla al vicino di casa come all’amico di Buenos Aires, ha riunito tutti in un’unica grande piazza senza perdere di vista l’origine e le peculiarità del nostro evento per cui potendo tornare, ci si augura, con una buona dose di presenza, farlo! Portandosi dietro tutto il valore aggiunto che l’on line ha portato.

 

SULLA TUA SESSIONE: perché i partecipanti dovrebbero seguirla?

Innanzitutto perché è la mia prima volta al festival da relatrice… non lasciatemi sola! Inoltre, credo che il potersi confrontare con l’esperienza di altri e il dialogare sia una grande cosa per tutti, un’opportunità innanzitutto per me, e mi auguro per chi parteciperà alla mia sessione.

 

Natascia e Nicoletta ci racconteranno una storia di successo: una di quelle da cui prendere ispirazione e ci ricorderanno che la relazione, quando è stabile e ben nutrita, non teme distanze.

Le ringraziamo per la gentilezza e la professionalità che hanno messo in campo e non vediamo l'ora di ascoltarle al Festival!

Presi dal blog
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